Descrizione
Fagiolo Zolfino. Presidio Slow Food
Pare sia stato Carlo V a introdurre i fagioli in Toscana, dopo la scoperta del Nuovo Mondo, donandoli a papa Clemente VII, al secolo Giulio de’ Medici. Qui, oltre ai più diffusi Cannellini e Toscanelli, sopravvive ancora oggi la produzione di varietà più rare, come il Coco Nano e, soprattutto, l’ottimo zolfino.
Detto anche fagiolo del cento (perché seminato il centesimo giorno dell’anno) o fagiolo burrino, lo zolfino è piccolo, globoso, giallo con una macchia oculare più chiara. Si coltiva da sempre tra l’Arno e il Pratomagno, in provincia di Arezzo: a 250, 300 metri ma anche più in alto, fino a 600 metri. Ama i terreni poveri e non sopravvive in pianura, perché il suo apparato radicale – estremamente superficiale – non tollera il minimo ristagno d’acqua. Si semina generalmente in aprile, spesso sulle terrazze sotto gli olivi, in modo che l’acqua scivoli via, tra i sassi dei muretti a secco.
Nonostante la buccia sottile, i fagioli zolfini reggono la cottura molto bene (tre, quattro ore e oltre). Quando sono cotti, sono densi e cremosi e si sciolgono in bocca come burro. Si gustano lessi, conditi con un filo di extravergine (meglio se forte, intenso, fruttato) e adagiati su fette di pane toscano abbrustolito, oppure sono serviti come contorno della fiorentina.
Nelle famiglie usava – e usa ancora – cuocerli per una notte intera nel fiasco o in un tegame sistemato nel forno a legna, dopo aver sfornato il pane. Gli avanzi, il giorno dopo, sono perfetti per la ribollita.